Il referendum è un importante strumento politico in mano ai cittadini che ha sempre lasciato una traccia: ogni volta diversa dalla precedente, spesso assai incisiva sul costume sociale e politico del paese.
Ogni
volta che sono stati utilizzati dal 1946 a oggi, i referendum popolari hanno dato un apporto incisivo alla nostra
democrazia, confermato anche nel recente caso dell’autonomia differenziata. La raccolta di firme per abrogare la
legge e il ricorso di alcune Regioni alla Corte costituzionale hanno indotto quest’ultima a esprimersi su quel
provvedimento, rilevandone diverse illegittimità. E dunque proprio la pressione dell’incombente referendum
abrogativo ha contribuito a una riscrittura ex post delle regole decise dal governo. Ma quello sui poteri delle
Regioni era soltanto uno dei referendum di recente innescati anche su altre questioni, serie e impegnative:
la cittadinanza e il jobs act, cioè il lavoro e la sua dignità. Per smuovere la sempre più ripetitiva discussione
pubblica, forze sindacali (la Cgil) e politiche (tutte le opposizioni) hanno deciso di rilanciare l’arma del referendum.
Arma che nella storia del paese ha aperto la strada a novità o a decisioni non scontate: grazie ai pronunciamenti
popolari su quesiti chiari e forti, nel 1946 la repubblica ha preso il posto della monarchia; nel 1974 è stata
respinta l’idea di cancellare il divorzio e nel 1981 di penalizzare la libertà di (dover) abortire; nel 1985 è stata
confermata la legge che riduceva la protezione dei salari garantita dalla scala mobile ma teneva alta l’inflazione;
nel 1987 si è respinta l’idea di adottare l’energia nucleare. Da diversi anni la spinta referendaria si era attenuata
per una eccesiva proliferazione, ma anche perché tutti coloro che si sono ritrovati ad avversare un quesito, anziché
impegnarsi nella battaglia "Si-No", hanno preferito affossarlo, predicando l'astensionismo, visto che la consultazione
non è valida se non vi partecipa il 50 per cento più uno degli aventi diritto Esemplare da questo punto di vista è stata
la campagna promossa dalla Cei sui referendum sulla procreazione assistita.
Inversione di tendenza. E invece ora ci sono i segnali di un'inversione di tendenza. Nell'arco di pochi mesi tre diverse raccolte di firme hanno portato alla proposta complessiva di sette quesiti: potenzialmente altrettanti referendum. Un segnale da non sottovalutare: parti rilevanti del paese tornano a chiedere un giudizio popolare su leggi controverse, una spinta alla quale concorre anche la nuova procedura semplificata nella raccolta delle firme: non più soltanto depositabili di persona e per iscritto, ma ora possibili anche on line grazie a una modifica legislativa voluta dal governo Draghi. Una novità che ha trovato subito i suoi detrattori, ma che si limita a introdurre una piccola semplificazione nell'ambito della normativa a suo tempo fissata dalla Costituzione. Nell’articolo 75 sono definiti casi e modalità per i referendum sulle leggi ordinarie con la previsione di limiti rigorosi (consultazioni abrogative, esclusione di alcune materie. cinquecentomila firme per i quesiti, vaglio di Cassazione e Consulta quorum di validità al 50 per cento), limiti che segnalano la preoccupazione dei costituenti di porre un argine preventivo a ogni tentazione di plebiscitarismo e populismo.
La rincorsa dell'Italia. La DC attese sino al 1970 prima di approvare una legge attuativa dell'istituto referendario e da allora gli italiani hanno recuperato il tempo perduto: dopo la Svizzera, l'Australia e la California, l'Italia è il paese nel quale dal 1945 in poi si sono svolti più referendum. Consultazioni assai rilevanti sulla vita politica, economica e sociale: monarchia-repubblica, divorzio e aborto, preferenza unica sono conquiste che dimostrano che, quando i cittadini sono interpellati con chiarezza su questioni dirimenti accorrono alle urne. Con un evidente beneficio per la salute della nostra democrazia.