PENSIONI
Quello che c'è
e quello che manca.
La previdenza è sempre un tema delle campagne elettorali, ma poi rischia di essere un capitolo sul quale si decide soltanto di fare cassa, un insieme di norme che più che individuare un diritto diventano misure per pochi, quasi un percorso a ostacoli. Vale in generale, ma vale ancora di più per giovani e donne che tutti dicono dovrebbero essere al centro delle scelte politiche per superare divari e disuguaglianze e che invece poi rimangono ai margini delle decisioni.
Un recente studio della Cgil sui flussi di pensionamento e le norme che cambiano alcuni interventi in legge di bilancio (dalla pensione anticipata a opzione donna) indica chiaramente che non solo non si sta facendo nulla per ridurre le disuguaglianze, ma addirittura le si accentuano. I flussi di pensionamento confermano il divario di genere. Le nuove pensioni liquidate nel 2023 sono state 764.907, contro le 865.948 del 2022: 101.041 pensioni in meno, 69.731 delle quali (69 per cento) riferite a donne, che ancora una volta risultano le più penalizzate. Questi dati si sommano ai tagli pesantissimi su parte dei pubblici dipendenti, alla manomissione del sistema di rivalutazione che impoverisce il potere d’acquisto dei pensionati, alla quasi cancellazione delle misure che introducevano un minimo di flessibilità dopo la riforma Monti. Decisioni pesanti che indicano la volontà di spingere verso la sola pensione di vecchiaia, che con il meccanismo dell’adeguamento della speranza di vita rischia di “costringere” le persone al lavoro ben oltre i 67 anni. E, soprattutto, senza alcun riconoscimento della diversa gravosità e delle diverse condizioni soggettive di uomini e donne.
Il nuovo contesto. Da tempo la Cgil è in campo sul tema previdenziale, anche con una proposta unitaria, per chiedere una seria riforma che tenga conto della sostenibilità economica e sociale del sistema di protezione e si misuri con le nuove condizioni demografiche ed economiche: l’aumento del numero dei pensionati in un paese con indici demografici negativi che nemmeno i flussi migratori riusciranno a bilanciare se non ci sarà un'inversione di tendenza sulla natalità e sulla capacità di trattenere i giovani; l'invecchiamento della forza lavoro: l'aumento dell'occupazione in forme discontinue e "povere".
Le questioni aperte. Sono quelle che riguardano il futuro del sistema di protezione sociale e il patto da rafforzare e condividere con le giovani generazioni, per evitare il diffondersi dell'idea che il versamento dei contributi non ha senso perché non garantisce prestazioni adeguate. È necessario, quindi, costruire una solida relazione con le giovani generazioni, e garantire loro la prospettiva di un lavoro dignitoso e ben retribuito, sostenuto da diritti. Ma riguardano anche il tema della redistribuzione della ricchezza, visto che 1'80 per cento del gettito Irpef pesa su lavoratori dipendenti e pen- sionati; e riguardano un sistema che continua a legittimare tassi di evasione che favoriscono determinati blocchi sociali e che hanno come scopo ultimo la fine di un sistema universale di protezione a vantaggio di scelte che affidano quasi esclusivamente la risposta alla spesa privata.
Il sistema previdenziale. Per far sì che chi oggi è in pensione non sia considerato un privilegiato occorre creare consapevolezza su come quel diritto è maturato, sulla contribuzione che è stata versata, sulla necessità che quella pensione mantenga il suo potere d'acquisto. Il sistema previdenziale nel nostro paese rimane un sistema a ripartizione: i lavoratori di oggi consentono di pagare l'assegno di chi è attualmente in pensione. Se si rompe l'equilibrio nel rapporto fra pensionati e lavoratori attivi il sistema deve affrontare il problema della sua sostenibilità. Già oggi la spesa pre- videnziale è sostenuta per certi aspetti dalla fiscalità generale, ma forse sarebbe utile anche aprire una riflessione su come e quando debbano contribuire al sistema aziende che fatturano miliardi di euro ma che, a differenza del passato, occupano sempre meno persone.
I rischi del futuro. Sarebbe utile affrontare il tema dei rischi del sistema contributivo a fronte di un Pil stagnante da anni, di carriere sempre più discontinue e della necessità di correggere in maniera più solidaristica sistemi di calcolo che rischiano di non rico- noscere le differenze che ci sono tra i lavori e tra le persone. Ripartire dal lavoro, dalle protezioni sociali, dai diritti di tutti e non di pochi privilegiati è quello che vorremmo muovesse la politica. Così però non è. E per questo continueremo a mobilitarci.
LIBERETÀ MARZO 2024