Liberetà - L'inchiesta del mese: GLI EFFETTI DEL COVID
QUALE FUTURO?
Incognite, preoccupazioni, speranze, problemi vecchi e nuovi. Come usciremo dalla pandemia? Meglio o peggio di prima? Lo scenario che abbiamo davanti è popolato di fantasmi. Il cambiamento non è automatico. Dipende anche da noi.
Su e giù per i paesini di montagna dell’Appennino, medici e infermieri dell’esercito impegnati nelle vaccinazioni casa per casa, in questi mesi hanno imparato a conoscere la vecchiaia. Non quella fredda e calcolata delle statistiche, ma quella in carne, ossa, rughe e acciacchi. Secondo l’Istat, due milioni e mezzo di persone anziane hanno vissuto la pandemia quasi in assoluta solitudine. Le loro storie non le racconta nessuno. Si vengono a sapere solo se ci riguardano da vicino. In un paesino dell’Abruzzo i vaccinatori inviati dal generale Figliuolo, ad esempio, hanno trovato un uomo che era praticamente bloccato al secondo piano della sua casa perché non aveva nessuno che lo aiutasse a scendere le scale. In un altro paese delle Marche una donna che abita in uno dei container del terremoto viveva circondata da sacchi di pannolini per adulti usati. Perché gli operatori sociali non andavano più a ritirarli a causa delle misure anti contagio.
La clausura. In questi mesi i giornali si sono soffermati un po’ di più sui 270 mila anziani ricoverati nelle strutture di accoglienza, prima decimati dal virus e poi messi in clausura. Anche qui non siamo messi bene. Dai lunghi di degenza arrivano voci flebili. “Mio padre - ha raccontato la giornalista Giusi Fasano - era un altro uomo prima del virus e dell’isolamento. Non sono riusciti ad ucciderlo, ma è come se lo avessero trascinato in un luogo lontanissimo dal quale non riesce a tornare”. AdeIina, 88 anni, ricoverata in una Rsa in provincia di Lecco - racconta un'inchiesta del Corriere della sera – vive ancora segregata. Anche se sono trascorsi diversi mesi dall’ordinanza del governo che ripristinava l’accesso nelle case di riposo. Prima del coronavirus Adelina poteva uscire tutti i pomeriggi, stare in giardino, girare per il paese. Ora la "normalità" che Ie hanno concesso dura mezz’ora a settimana, il tempo della visita dei parenti, ma soltanto due persone vaccinate per volta.
La pandemia - secondo i sindacati dei pensionati - ha accentuato i limiti strutturali, etici e deontologici delle residenze per anziani e disabili.
La denuncia. “La pandemia da Covid 19 - hanno scritto i sindacati dei pensionati ai ministri Speranza, Bonetti e Stefani per chiedere un cambiamento - ha evidenziato, in modo drammatico, la naturale e pregressa criticità delle strutture residenziali per le persone anziane non autosufficienti e ha accentuato ulteriormente i limiti strutturali, etici e deontologici di questi servizi, dei quali si chiede un ripensamento radicale”. Una ricerca dell’Istat per conto della commissione d‘indagine istituita dal ministro della Salute, ha rappresentato in numeri la fragilità degli anziani ancora prima del Covid e ha certificato che su quasi sette milioni di over 75 oltre 2,7 milioni hanno gravi difficoltà motorie. con più di una malattia da tenere a bada e varie compromissioni dell‘autonomia nelle attività quotidiane. L‘Istat registra poi più di un milione di anziani che dichiarano di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità, perché vivono da soli oppure con altri familiari anziani senza un aiuto. Non pochi Ira questi sono poveri e non possono accedere ai servizi a pagamento per avere assistenza.
La speranza. Andrà tutto bene. Ricordate? Lo dicevamo per darci coraggio, all‘inizio della pandemia. Non sapevamo ancora quanto sarebbe stato difficile e doloroso affrontarla. Oggi le vaccinazioni procedono di buon passo, ma con la variante Delta in circolazione non sappiamo quando riusciremo a sconfiggere il virus. Il fatto è che ci lasciamo dietro una scia di lutti, sofferenze e problemi non risolti che hanno inciso le nostre carni. E la percezione del futuro è pessima. Siamo preoccupati. Più preoccupati dei tedeschi, dei francesi| e della maggior parte degli europei, dicono i sondaggi. Otto italiani su dieci hanno paura che la propria situazione economica possa peggiorare ancora di più di quanto non sia già peggiorata. II dopo, insomma, non ci fa ben sperane.
Sanità: ultima chiamata per le Regioni. Galleggiare, come ha galleggiato negli ultimi venti anni, non sarà più possibile. Per il Servizio sanitario regionale i 20, 23 miliardi del piano nazionale di ripresa e resilienza, sono uno spartiacque: se saranno investiti bene la sanità pubblica diventerà un traino per l'economia, ma se sprechi e inefficienze avranno la meglio, il servizio collasserà.
La memoria. La storia non regala ottimismo. Ogni pandemia ha provocato guerre, migrazioni epocali, crolli economici e politici, persecuzione razziali. Quasi mai una crisi sanitaria di così vaste proporzioni come quella provocata dal coronavirus ha portato cose buone. La spagnola di un secolo fa ha incubato il fascismo e la grande crisi del 1929. “Sono un vecchio, mi dimentico di tante cose - dice lo scrittore triestino e premio Nobel Boris Pahor - ma nella mente resta vivo il ricordo della spagnola e di quando i fascisti appiccarono il fuoco al Narodni dom, la casa della cultura slovena di Trieste. Fu l‘inizio del fascismo e della persecuzione contro noi sloveni”. Boris Pahor, 106 anni, per sua e nostra fortuna è sopravvissuto alla pandemia, ma più di 120 mila anziani sono morti seppellendo per sempre una memoria collettiva importante. Senza questa sentinella pronta a ricordarci gli errori della storia i giovani avanzeranno a fari spenti nella notte del futuro.
La consapevolezza. Quanti di noi all‘inizio speravano di poter uscire dalla pandemia con un'accresciuta consapevolezza sociale? Pensavamo che dopo anni di tagli e restrizioni ci sarebbe stata più attenzione alla sanità pubblica. A una tassazione più equa e più “fiscale” con gli evasori, all’istruzione dei nostri ragazzi e alla ricerca. Ci aspettavamo che dopo la pandemia lo Stato sociale potesse essere più attento alle zone d'ombra della nostra società: le diseguaglianze economiche, la precarietà dei giovani, la fragilità degli anziani, le discriminazioni delle donne e degli immigrati. E invece …
Le disuguaglianze. Lo scrittore newwyorkese Paul Auster, da sempre impegnato nella sinistra americana, non è ottimista. “La storia - dice - dimostra che impariamo poco dalle brutte esperienze, tendiamo a dimenticare in fretta. Oggi, ad esempio, mi preoccupa l’acuirsi delle disuguaglianze”. Come dargli torto? La pandemia ha acuito i divari economici e sociali. Ancora una volta è l’Istat a ricordarci che le famiglie in povertà assoluta sono un milione in più di quando non c'era il Covid. L’aumento è spaventoso. ll virus non ha colpito a occhi bendati. Ha letto bene la carta d'identità delle sue vittime Basta leggere i numeri per capirlo: sul totale delle persone che hanno perso il lavoro in Italia tra il 2019 il 2020, oltre un terzo sono giovani. donne e stranieri.
Le riforme. Se la politica manterrà le promesse il Recovery Plan potrà essere il nostro jolly. Dovremmo giocarcelo bene, nel welfare dei servizi e di comunità (asili nido, assistenza domiciliare, sanità di prossimità, telemedicina). È tutto scritto nei documenti elaborati dal ministero della Salute, compreso l’impegno a fare la legge sulla non autosufficienza. Ma i soldi sono pochi. Il piano nazionale di ripresa e resilienza destina a questi progetti molto meno dei 37 miliardi di tagli che la sanità ha subito negli ultimi dieci anni. Il rischio è che questo jolly si riveli un timido esperimento, anche se accompagnato da un impegno importante come le più volte richiamale riforme.
Il punto d’unione. La partita è ancora da giocare. Ma la politica è divisa. La sinistra è debole. La destra populista è forte ma coltiva idee pericolose per la democrazia. Se vogliamo sconfiggere i populismi e ridurre le disuguaglianze bisogna puntellare lo Stato sociale. Significa ripensare come cresciamo i figli, il sistema educativo, le tutele del lavoro, la sanità, l’assistenza degli anziani. Vuol dire ripensare il sistema dei servizi e di cura, ma anche trovare il modo per coinvolgere tutti, creare legami di comunità, dare più forza al “noi" e mettere in minoranza l’”io”. Il sindacato è l'unico punto di unione nel grande marasma della politica di oggi. Insieme, donne e uomini, da lavuratori,. da studenti e da pensionati, nella Cgil e nello Spi, possiamo giocare la partita del futuro.
Articolo di Giorgio Nardinocchi. "Quale futuro?", pubblicato su Libereta di settembre 2021.