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Liberetà - maggio 2023

Intervista a VINCENZO VISCO

L'inganno della riforma fiscale
di Roberto Seghetti

Quella presentata dall'esecutivo guidato da Giorgia Meloni non metterà argine all'evasione, accentuerà gli squilibri e sarà a tutto vantaggio dei redditi alti. Non si tratta soltanto di un problema di iniquità, perché un fisco distorto ha anche effetti negativi sull'efficienza economica del paese

Nessuna illusione. La riforma fiscale del governo Meloni non sistemerà le macroscopiche distorsioni che tutti possono toccare con mano, con redditi da capitale fuori dalla tassazione Irpef, aliquote fisse, favori e imposte non omogenee per i guadagni delle diverse categorie di contribuenti. Per non parlare dell'enorme evasione fiscale. Al contrario, accentuerà gli squilibri, favorirà i redditi più alti e i professionisti, prevede scelte contraddittorie e di improbabile attuazione sulle società e non sosterrà, ma frenerà, la crescita economica. Di questo si dice convinto Vincenzo Visco, ex ministro del- l'Economia, forse il tecnico e politico italiano che meglio conosce il sistema fiscale e che più si è speso nella lotta contro l'evasione.

Vincenzo Visco è stato ministro delle Finanze dal 1996 al 2000 e ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica dal 2000 al 2001.
Attualmente presiede il centro studi Nens (Nuova Economia Nuova Società) fondato nel 2001 insieme a Pierluigi Bersani

La riforma fiscale presentata dal governo interviene su un sistema squilibrato e ingiusto. Lei lo denuncia da tempo. A suo parere, questo intervento sistema le cose o le lascia come sono?
«Questa riforma non fa che ribadire lo status quo. Cioè la disarticolazione che è stata attuata negli ultimi vent'anni, senza alcuna logica, per cui noi stiamo tornando a un sistema cedolare come quello esistente prima della riforma del 1971 (in cui ogni categoria di reddito aveva un'imposta diversa, con un'aliquota diversa): l'imposta progressiva si applica solo ai redditi da lavoro e da pensione e c'è una grande aberrazione come la forfettizzazione per i lavoratori autonomi e le piccole imprese fino a 85 mila euro di fatturato, soglia al di sotto della quale si trova, per fare un esempio, oltre il 90 per cento dei professionisti italiani. A questi contribuenti sul reddito forfettizzato viene per di più applicata un'aliquota del 15 per cento laddove l'aliquota più bassa dell'Irpef è del 23 per cento. E questo riguarda categorie di contribuenti che, secondo tutte le rilevazioni e gli studi ufficiali, evadono tra il 65 e il 70 per cento delle imposte. Ecco, sul restante 30/35 per cento si applica il forfait e su quello che rimane si applica il 15 per cento. È una cosa da paese non civile. È di fatto il bacino elettorale in cui pesca di più la destra».

I lavoratori autonomi, però, non hanno tutte le garanzie. «Questo è vero, e sarebbe corretto superare questa situazione. Adesso, ad esempio, l'assegno unico per i figli è stato esteso giustamente anche agli autonomi, solo che sarebbe stato giusto anche abolire il contributo che continuano a versare i lavoratori dipendenti, il Cuaf. Si potrebbe allargare l'iniziativa ad altre forme di garanzia e a quel punto non ci sarebbero più discriminazioni, ricordando però che i dipendenti per i diritti di cui godono pagano contributi che gli autonomi non pagano».

E i pensionati? «Oggi sono i più di scriminati, perché a parità di reddito pagano di più perfino degli stessi lavoratori dipendenti. Del resto, nella logica dell'attuale governo sembrerebbe esserci una certa sensibilità nei confronti dei pensionandi, ma certamente nessuna per i pensionati considerati "improduttivi", se non del tutto "inutili"».

Si discute quasi esclusivamente della riduzione a tre delle aliquote Irpef. Anche qui: dipenderà da scaglioni, detrazioni, deduzioni...
«Ma no, non facciamoci annebbiare la vista da questa discussione. La verità è che la riduzione a tre aliquote è un altro passo verso la tassa piatta. E se c'è una cosa certa è che più ap- piattisci l'imposta sui redditi e più, a parità di gettito complessivo, favorisci i redditi alti e penalizzi quelli medi. Punto. Mentre i redditi bassi già godono di numerose detrazioni e deduzioni».

In questo caso si prevede di unificare e abbassare l'aliquota intermedia. «Oggi tra il primo e l'ultimo scaglione ci sono due aliquote per due scaglioni diversi: 25 per cento tra 15 e 28 mila euro di reddito lordo annuo e 35 per cento tra 28 e 50 mila euro. Se questi scaglioni vengono unificati e si riduce l'aliquota, i benefici, trattandosi di aliquote marginali, andranno pressoché esclusivamente ai redditi superiori ai 50 mila euro. Ma per capirci meglio basta guardare che cosa è accaduto nel tempo. Penso che sarebbe utile fare un confronto tra gli effetti della struttura delle aliquote che c'era all'inizio degli anni Settanta e l'effetto concreto che c'è oggi. Nei primi anni Settanta, con 32 aliquote, la più bassa al 10 per cento e la più alta al 72, i redditi medi pagavano molto di meno. pagavano qualcosina di più i redditi bassi e molto di più quelli alti. Oggi, invece, le imposte gravano molto di più sui redditi medi, mentre quelli più alti pagano molto di meno».

Dove troveranno i soldi per abbassare le imposte come dicono? «Ma chi lo sa? Chiaramente non li hanno. E dunque, intanto faranno gli interventi minuti, misure particolari e interessate, che riguardano qualche categoria di elettori, interventi usciti dallo studio di qualche commercialista che magari è anche deputato al Parlamento. Ed è molto probabile che taglieranno alcune spese sociali: sanità, istruzione, assistenza, come hanno già cominciato a fare».

«Oggi i pensionati sono la categoria di contribuenti più discriminata perché a parità di reddito pagano più tasse anche degli stessi lavoratori dipendenti»

Sulla lotta all'evasione c'è qualche passo in avanti?
«Dicono che useranno le banche dati. Ma non lo faranno o lo faranno in modo da non ottenere risultati: se le usassero colpirebbero la platea di contribuenti che invece vogliono favorire. Basterà vedere come gestiranno il cosiddetto concordato, ossia l'accordo su quanto le piccole imprese e i lavoratori autonomi dovranno pagare nei successivi due anni. Se sarà un accordo al ribasso, come credo, diventerà un modo per stabilire, senza patemi d'animo, quanto si può pagare meno di ciò che prevede il sistema fiscale per tutti gli altri».

Parliamo di imprese. Tagliano l'Ires, poi però aggiungono una sovrimposta per compensare la cancellazione del l'Irap. Ma quanto dovrebbe valere questo recupero?
«Qualcosa come 10-12 miliardi di euro solo dalle società per azioni. Dif- ficile. Penso che intanto elimineranno subito l'Irap su piccole imprese, società di persone, professionisti: il loro bacino elettorale principale. Hanno una visione dell'economia di fatto regressiva, come se il suo sviluppo dipendesse da professionisti e piccolissime imprese invece che da innovazione e imprese strutturate».

Insomma, non è una riforma. «Infatti, è poco interessante e, soprattutto, poco utile. Ad esempio, la riforma Draghi si ispirava a un modello organico: quello della Dual income tax scandinava, sistema che prevede il mantenimento di un'imposta progressiva sui redditi da lavoro e la tassazione uniforme di ogni reddito da capitale (Bot compresi) con un'aliquota proporzionale uguale per tutti. Mentre qui rimane la balcanizzazione di questi redditi con una molteplicità di aliquote. Ma non si tratta solo di iniquità: un fisco distorto ha conseguenze gravi anche in termini di efficienza economica».

LIBERETA MAGGIO 2023