Liberetà - L'editoriale di Maurizio Landini
Un autunno difficile, ma noi siamo in campo
I limiti del nostro sistema. L’emergenza sanitaria ha svelato i limiti del nostro sistema paese, e tra questi ci sono certamente le diseguaglianze. Sicuramente sono emersi gli effetti dei tagli effettuati negli anni al servizio sanitario. Non è un caso che gli anziani siano stati tra i più colpiti dal virus. Abbiamo bisogno non solo di rilanciare un’idea di sanità pubblica degna di questo nome, ma di utilizzare questo momento – anche con le possibili risorse europee che possono essere messe a disposizione – per un investimento e un rilancio effettivo della sanità come diritto universale. Il ruolo della Cgil deve essere quello di farsi promotrice di una battaglia su come investire le risorse e soprattutto quale modello sanitario nuovo costruire. Ciò significa certamente più ospedali, più posti letto, più qualificazione, ma soprattutto più investimenti sulla prevenzione e sui servizi territoriali. Qui si apre un’opportunità: pensare alla rivoluzione tecnologica già in atto e quindi alla potenzialità di un utilizzo del sistema digitale sia dei dati sia della medicina a distanza. Dobbiamo saper affrontare in modo nuovo e diverso le situazioni di emergenza, a partire dalla prevenzione e dalla cura a casa delle persone. Questo è un punto di fondo. Così come, mai come adesso, è giunto il momento di una legge quadro sulla non autosufficienza.
Ripensare il rapporto tra pubblico e privato. Parlare di sistema sanitario vuol dire anche ripensare radicalmente il rapporto che si è determinato in questi anni tra il pubblico e il privato. Esiste il problema di rivedere il sistema di accreditamento. Una delle questioni riguarda il fatto che tutte le attribuzioni di gestione operative sono in mano alle Regioni. E tutti hanno potuto osservare come siano aumentate le diversità tra di esse e come su alcune materie sia necessaria una direzione nazionale. Perché il nostro problema oggi è quello di realizzare la piena esigibilità dei livelli essenziali di assistenza diffusi su tutto il territorio.
La lezione da imparare. Dalla sofferenza che abbiamo patito per le vite perdute dobbiamo ricavare la lezione della necessità di rilanciare un piano sulla sanità perché questo significa anche creare posti di lavoro, significa fare di un nuovo stato sociale un punto di sviluppo e di crescita del paese. E ciò riguarda anche la cultura e i sentimenti di solidarietà del paese. Forse abbiamo imparato che per combattere una pandemia sono molto importanti anche i comportamenti delle persone e sarebbe quindi sbagliato non soltanto abbassare la guardia, ma credere di poter tornare al sistema di vita precedente. Intendo parlare della prevenzione e del rispetto dei comportamenti sia nei luoghi di lavoro sia nella società.
Quali strumenti per affrontare l'emergenza? L'autunno si annuncia complicato. Da un lato, stiamo già facendo una battaglia perché il 14 settembre ci sia dawero la riapertura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, e dall'altro dobbiamo ragionare su come si affronta l'emergenza e, contemporaneamente, collocare l'emergenza dentro un progetto di cambiamento e di trasfonnazione. È necessario confermare il blocco dei licenziamenti e prorogare gli ammortizzatori sociali. Contestualmente bisogna riorganizzare gli strumenti di azione sul lavoro e sui redditi. E ciò significa riaffermare che non ci possono essere persone che non hanno protezione sociale. Ammortizzatori sociali con carattere universale, rinnovo dei contratti pubblici e privati, contrasto ai “contratti pirata” anche attraverso un'azione legislativa per la misurazione della rappresentanza, sono impegni che già da oggi vanno assunti.
L'impegno per ta riforma fiscale. Così come è decisivo un impegno per una riforma fiscale che recuperi la progressività, riduca il carico fiscale sui lavoratori e sui pensionati, detassi gli incrementi contrattuali, estenda la quattordicesima ai pensionati che oggi ne sono esclusi, ripristini integralmente le indicizzazioni. Questo vuol dire tassare di più i redditi alti e colpire l'evasione fiscale. Redistribuire, quindi, per contrastare le diseguaglianze e recuperare risorse per un welfare universale e di qualità. Quando discutiamo di un nuovo stato sociale intendiamo certamente nuovi investimenti nella sanità, ma anche nell'ist1uzione, nella ricerca, nell'innovazione, nell'università. È anche così che si creano posti di lavoro e si garantisce il diritto fondamentale alla formazione e alla conoscenza.
Un piana straordinario di investimenti. Dobbiamo prepararci a gestire un processo di cambiamento dovuto alle nuove tecnologie. Un processo che riguarderà il modo di lavorare, di vivere e di affrontare la questione demografica, cioè il fatto che per fortuna le persone vivono più a lungo. Certamente dobbiamo difendere il lavoro che esiste, ma dobbiamo porci il problema di come se ne crea di nuovo: serve un piano straordinario di investimenti e serve anche un ruolo pubblico nuovo. I soldi pubblici devono essere condizionati a creare lavoro, a creare nuovi prodotti, a rispettare l'ambiente. Un progetto di ecosostenibilità delle produzioni e dei sistemi di vita: una nuova politica industriale con un ruolo pubblico che indirizzi gli investimenti verso traiettorie nuove. Ad esempio, la mobilità: come far spostare le persone, come trasportare le merci, come costruire le città. Tutto ciò vuol dire investire nell'auto elettrica, nelle ferrovie, nel trasporto pubblico. A ben vedere ciò riguarda anche il problema del turismo e della cultura. Investire su un nuovo modello di sviluppo e sulla sostenibilità delle produzioni vuol dire anche investire sulla ricerca e sull'innovazione in un rapporto diverso tra la scuola e le imprese. La nostra proposta è quella di costruire un'agenzia nazionale pubblica per lo sviluppo che orienti gli investimenti, anche per far crescere la qualità del nostro sistema imprenditoriale.
Il diritto alla formazione permanente. Noi pensiamo ad un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori. Intendiamo far diventare il diritto alla fonnazíone e alla conoscenza un diritto permanente lungo tutto l'arco della vita delle persone, sia quando lavorano sia quando sono uscite dalla produzione. Quando parliamo di sanità, di cultura, di turismo, di industria, di nuovo modello di sviluppo mettiamo al centro il lavoro non soltanto come diritto a poter lavorare ma come diritto delle persone di poter utilizzare la propria intelligenza e di partecipare alle decisioni che le riguardano e che riguardano lo sviluppo del paese. Questa è, deve essere, la funzione sindacale. Lo Spi non è soltanto una categoria. In questo contesto vi è il ruolo specifico del sindacato dei pensionati della Cgil. Non ho mai considerato lo Spi semplicemente come una categoria, perché questo ridurrebbe la potenzialità e la forza che invece esso può avere come un'organizzazione che mette insieme persone che nella loro vita hanno fatto mestieri diversi e che vengono da esperienze diverse. Non dobbiamo rinunciare a quella che è una caratteristica specifica della storia della Cgil: un sindacato che non solo tutela i diritti delle persone che rappresenta, ma svolge una funzione di soggetto con un'idea di trasformazione sociale fuori dai luoghi di lavoro e di affermazione dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana.