Pensioni, tutte le novità per il 2018
COME
AUMENTANO
LE PENSIONI
1,1%
rivalutazione piena
per le pensioni fino
a 1.506,67 euro
lordi al mese
1,045%
di rivalutazione al 95%
per le pensioni tra
1.505,67 euro lordi
e 2.007,56 euro lordi
0,83%
di rivalutazione al 75%
per le pensioni tra
2.007,56 euro lordi
e 2.509,45 euro lordi
0,55%
di rivalutazione al 50%
per le pensioni tra
2.509,45 euro lordi
e 3.011,34 euro lordi
0,50%
di rivalutazione al 45%
per le pensioni da
3.011,34 euro lordi
e oltre
Dopo due anni di inflazione negativa, che ne aveva congelato il valore, da gennaio le pensioni torneranno a crescere anche se di poco. La percentuale di aumento che si applica in via provvisoria è dell’1,1 per cento. Ma non va dimenticato che l’Inps deve ancora recuperare lo 0,1 per cento versato in più nel 2014.
Torniamo a parlare di rivalutazione delle pensioni perché nel 2018 e nel 2019 si annunciano due importanti novità. Dopo due anni di stagnazione con inflazione zero, l’indice dei prezzi che misura l’andamento dei consumi delle famiglie italiane ha ricominciato a crescere. Quest’anno è previsto un tasso di perequazione dell’1,1 per cento, ottenuto confrontando i prezzi del 2017 con quelli dell’anno precedente. Le pensioni del 2018 sono state rivalutate secondo lo schema introdotto dalla legge 147 del 2013. Com’è già avvenuto negli anni precedenti, le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo sono rivalutate al 100 per cento. Una scelta giusta che non attenua, però, la contrarietà del sindacato dei pensionati della Cgil alla continua manomissione di un meccanismo che ha il compito di salvaguardare il valore delle pensioni, non certo quello di aumentarle. Dal 2019, invece, come confermato dall’accordo sottoscritto con il governo il 28 settembre 2016, si torna al sistema di perequazione previsto dalla legge 388/2000, in vigore prima della legge Monti-Fornero.
La differenza tra i due sistemi è evidente. Nel primo caso l’intero importo della pensione superiore a tre volte il minimo è rivalutato applicando una percentuale decrescente del tasso di perequazione; nel secondo caso la pensione è suddivisa in tre fasce: la prima, comune alle pensioni di qualsiasi importo, è pienamente rivalutata, la seconda e la terza sono rivalutate con un’aliquota ridotta.
Entrambi i sistemi riducono la copertura dall’inflazione a partire da quattro volte il trattamento minimo, ma quello che entrerà in vigore dal prossimo anno lo farà con più gradualità, in coerenza con la natura del sistema di perequazione la cui funzione non è quella di aumentare le pensioni bensì quella di difenderne il potere d’acquisto. Le differenze possono apparire minime. Ma non bisogna dimenticare che la perdita di valore si accumula con il tempo, come ben sanno quanti sono in pensione da qualche anno.
Quattordicesima e no tax area. Tutto questo non ci ha fatto perdere di vista la condizione di quanti vivono con pensioni medio-basse. La scelta fatta già nel 2007 è stata quella di aumentare il valore netto della pensione e non il valore lordo, per non mettere a rischio altre prestazioni previdenziali o assistenziali, vincolate a limiti di reddito. Da qui la scelta della quattordicesima che con l’accordo del 2016 è stata aumentata per quanti già la percepivano ed estesa ai pensionati con un reddito annuo fino a due volte il trattamento minimo. Sono tre milioni e mezzo i pensionati che ne beneficiano e per la stragrande maggioranza si tratta di donne. Infine non bisogna dimenticare l’intervento sull’importo della pensione esentato dall’Irpef e dalle addizionali locali, la cosiddetta no tax area. Non è soltanto questo l’intervento sul fisco a cui pensa lo Spi Cgil, ma solo l’inizio. Ci sono due obiettivi che si intendono perseguire: equiparare il trattamento fiscale dei pensionati a quello dei lavoratori dipendenti; ridurre il peso del fisco sui redditi da lavoro e da pensione.
Il recupero dell’arretrato. Per ultimo il recupero di quanto percepito in più nel 2015 a titolo di perequazione. In quell’anno le pensioni hanno beneficiato di uno 0,1 per cento in più di rivalutazione, pari alla differenza tra tasso provvisorio e definitivo. Differenza che l’Inps avrebbe dovuto recuperare nell’anno successivo. Com’è noto sia nel 2016 sia nel 2017 il tasso di perequazione è stato pari a zero, ed è la ragione per la quale, anche a seguito dell’iniziativa sindacale, il recupero venne posticipato fino a quando il tasso di perequazione non fosse tornato con il segno più. Dunque quest’anno l’Inps recupererà quanto doveva sulla pensione di gennaio e febbraio, a seconda che la somma da restituire sia inferiore o superiore a sei euro. Per fare un esempio, una pensione di mille euro nel 2015 ha percepito nel corso dell’anno tredici euro in più del dovuto. E questi tredici euro verranno recuperati sulle rate di gennaio e febbraio. In questi anni la mobilitazione dei pensionati si è fatta sentire e i primi risultati sono stati conquistati. Ora bisogna continuare su questa strada.
LA RIVALUTAZIONE DAL 2019
Aliquota applicata alla pensione
suddivisa per fascie
Fascia fino a tre volte il minimo - 100%
Fascia fino a cinque volte il minimo - 90%
Fascia oltre cinque volte il minimo - 75%
Articolo pubblicato sul mensile LiberEtà del 3 gennaio 2018.