Aumenta il rischio antibiotico-resistenza
Non è un caso che l’antimicrobico-resistenza (AMR) sia stata inserita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tra le 10 principali minacce per l’uomo, come l’Hiv, l’ebola, la dengue e addirittura al pari del cambiamento climatico.
È noto, infatti, che le malattie infettive sono tra le prime cause di morte nei paesi a basso reddito, ma anche nelle aree di maggiore benessere, come l’Europa e anche l’Italia, dove alcune patologie associate alle infezioni delle vie respiratorie e alla sepsi hanno un impatto significativo. Secondo le stime presentate in un rapporto pubblicato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), più di 35 mila persone muoiono ogni anno a causa di infezioni resistenti agli antimicrobici nei paesi dell’Unione Europea.
L’Italia è al secondo posto per numero di morti stimati da infezioni resistenti agli antibiotici, con 19 decessi ogni 100 mila abitanti, pari a circa 11 mila decessi l’anno. Prima di noi c’è solo la Grecia con 20 decessi ogni 100 mila abitanti. Secondo l’Oms, l’antibiotico-resistenza è un problema talmente grave che, se non si agisse, nel 2050 potrebbe essere la prima causa di morte al mondo. «Già ora vediamo aumenti preoccupanti nel numero di decessi attribuibili a infezioni da batteri resistenti agli antimicrobici, in particolare quelli che sono resistenti al trattamento antimicrobico di ultima linea», ha affermato Andrea Ammon, direttore dell’Ecdc, commentando i dati. «Ogni giorno – ha aggiunto – quasi 100 persone muoiono a causa di queste infezioni nell’Unione Europea. Per questo bisogna continuare a ridurre l’uso non necessario di antibiotici, migliorare le pratiche di prevenzione e di controllo delle infezioni, progettare e attuare programmi di gestione antimicrobica e garantire un’adeguata capacità microbiologica a livello nazionale».
Gli ultimi, allarmati rapporti mostrano tendenze di aumento significativo del numero di infezioni e decessi. “Nel 2021, i casi segnalati di specie Acinetobacter resistenti a diversi gruppi antimicrobici sono stati più del doppio (+121%) rispetto alla media del periodo 2018-2019”, si legge nel rapporto dell’Ecdc. Inoltre, il numero di casi segnalati di Candida auris è quasi raddoppiato tra il 2020 e il 2021 ed è stato notevolmente superiore rispetto agli anni precedenti. Candida auris, lo ricordiamo, è un patogeno fungino che causa focolai di infezioni invasive associate all’assistenza sanitaria e può essere resistente a più agenti antifungini. In ospedale il problema dell’antimicrobico-resistenza nei pazienti è presente da tanti anni ed è uno dei principali problemi dell’infettivologia. «Dopo il Covid è il problema numero uno – dice il dottor Michele Spinicci, membro del Consiglio direttivo della Società italiana di medicina tropicale e salute globale (Simet) –. Sicuramente l’utilizzo degli antibiotici è la prima causa di selezione di resistenza, dopo di che l’età e la complessità di alcuni pazienti con comorbilità possono peggiorare il quadro clinico, predisponendo a infezioni, a ricoveri prolungati e al rischio di sviluppare infezioni di batteri resistenti agli antibiotici. Per me è pane quotidiano trovare le terapie adeguate, per fortuna da qualche anno abbiamo a disposizione farmaci nuovi».
L’antibiotico-resistenza non può essere affrontato solo in clinica. Quella è l’ultima spiaggia. «L’approccio deve essere più ampio e la medicina umana è solo una parte del problema, perché il consumo di antibiotici deriva anche dalla medicina veterinaria – continua Spinicci –. Sappiamo ormai che i due mondi sono interconnessi e pertanto la risposta deve essere integrata. Dal mio punto di vista il problema è soprattutto il territorio, anche se l’antimicrobico-resistenza ha cause e meccanismi diversi alla base». Il territorio, appunto, significa la medicina di base; il rapporto medico curante e paziente, le cure e i farmaci prescritti quotidianamente negli ambulatori. Di certo sappiamo che su 100 dosi di antibiotici, 80-90 vengono somministrate nei territori e solo 10-20 negli ospedali. «È lì, soprattutto nei territori, e in particolare nelle regioni meridionali, che bisogna lavorare, perché le resistenze così indotte poi arrivano in ospedale come casi gravi», ammonisce il professor Ivan Gentile, direttore dell’Uoc di malattie infettive dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli e direttore della Scuola di specializzazione in malattie infettive e tropicali.
Ed ecco che l’uso inappropriato degli antibiotici diventa il fattore principale della resistenza. Intendiamoci: gli antibiotici hanno rivoluzionato la vita dell’umanità e rappresentano una svolta nella storia della medicina, però devono essere prescritti in maniera oculata, anche se il bilancio costi-benefici è sempre a vantaggio dei benefici, almeno quelli immediati: «Però sono anche la categoria di farmaci che induce più resistenza ai batteri anche nelle persone giovani e meno fragili, apparentemente sane, ma immunodepresse», precisa Spinicci. E come si rimedia quando il paziente arriva in ospedale? «Con altri antibiotici a spettro più ampio. Al momento con l’avvento di nuovi farmaci ci sono più opzioni, fortunatamente, e si spera che tra qualche anno si possano avere farmaci ad ancora più ampio spettro, poiché dal punto di vista della produzione di nuovi anticorpi c’è stata un’accelerata e un rinnovato interesse da parte dell’industria farmaceutica a produrre molecole nuove. Ovviamente più si alza l’asticella più si riducono le opzioni; la sfida è mantenere il passo dei batteri», risponde Spinicci. Ed è qui che si rivelano fondamentali i progressi della ricerca. «Solo con la ricerca riusciremo a ridurre significativamente i decessi che si verificano per le infezioni resistenti agli antibiotici – è il parere di Evelina Tacconelli, ordinaria di malattie infettive e direttrice della Clinica delle malattie infettive all’Università di Verona –. I nostri studi e l’importante risultato raggiunto in pediatria e in area medica sono stati pubblicati su riviste di grande valore scientifico e fanno oggi da modello per altre realtà simili alla nostra». Ma in ospedale è meglio non arrivarci per colpa di un uso inappropriato degli antibiotici, raccomanda Ivan Gentile: «Perciò bisogna sorvegliare e monitorare il trend nell’ambito del contrasto al fenomeno della microbico-resistenza in un’ottica One Health», cioè un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse: medicina umana e veterinaria, settore agroalimentare, economia, ambiente… «E anche i professionisti – prosegue – vanno sottoposti a un percorso di formazione continua, senza trascurare ovviamente il tema della ricerca e dello sviluppo di nuovi antibiotici. E poi bisogna aumentare le vaccinazioni». Un esempio virtuoso è quello di alcuni paesi del Nord Europa dove, con un semplice test usa e getta, il medico di base può stabilire se un’infezione è di origine virale o batterica. Insomma, le armi per combattere il flagello dell’antimicrobico-resistenza non mancano, cominciando da quella più semplice: ricorrere all’antibiotico solo quando è necessario.