L'Italia è arrivata alla terza manovra finanziaria varata dalla destra al governo. E sempre più evidente appare il disegno della presidente del Consiglio e dei suoi alleati: abbattere lo Stato sociale.
La terza manovra finanziaria del governo di destra sembra pensata per un altro paese. Certo non per l'Italia dove si infittiscono le crisi industriali, cresce la pressione fiscale (vuol dire che paghiamo più tasse), la progressione della ricchezza nazionale è vicina a un deprimente zero per cento, le famiglie in povertà assoluta o relativa aumentano di nu-mero e oltre quattro milioni di cittadini rinunciano a cure che non possono più permettersi. Buone notizie, inoltre, non ci sono nemmeno per i pensionati, né per i pensionandi, visto che sono state confermate le limitazioni per l'accesso a "opzione donna" e le penalizzazioni per quota 103, mentre è stato addirittura aumentato il requisito anagrafico per l'Ape sociale.
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Sforbiciate pesanti. A fronte di trenta miliardi di spesa, diciotto dei quali assorbiti dalla stabilizzazione della riduzione del cuneo fiscale per i redditi fino a quarantamila euro e dal passaggio a tre aliquote dell'Irpef. la legge prevede pesanti tagli, diretti o surrettizi, allo Stato sociale, riduce i fondi per gli enti locali e per il Sud, penalizza scuola, università e sanità. Su scuola e istruzione, ad esempio. si risparmiano cinque miliardi: quest’anno ci saranno 3.800 docenti in meno e nel 2026 la scure si abbatterà anche sul turn over di università, ricerca e alta formazione. Chi ci guadagna è invece la scuola privata dal momento che la detrazione per le rette passa da ottocento a mille euro. Inoltre, se da un lato la legge evidenzia l'assenza di politiche industriali. con il definanziamento del fondo per il settore dell'auto, dall'altro concede più soldi agli armamenti. E il tutto, mentre si annuncia l'arrivo di una stangata sulle bollette di luce e gas, e gli aumenti delle pensioni minime si fermano a meno di due euro al mese.
La sanità soffre. Del tutto inadeguate le misure per la sanità, già in fortissima sofferenza. Il governo insiste con la propaganda secondo la quale nessuno mai prima «ha messo tanti soldi sul fondo sanitario: una bugia che fa leva su un artificio contabile. È vero infatti che in termini assoluti il fondo sanitario nazionale sale a 136,5 miliardi, ma considerato che in tutto il mondo i fondi si calcolano in percentuale sul Pil e mai in cifra assoluta, in realtà il suo valore passa dal 6,12 del 2024 al 6.05 per cento del Pil nel 2025 e 2026, per scendere ancora nel 2027 al 5,9 per cento. E intanto quattro milioni e mezzo gli italiani rinunciano a curarsi, scoraggiati dalle liste di attesa inter-minabili e dall'impossibilità di prenotare visite ed esami strumentali, come ha denunciato anche il capo dello Stato a fine anno.
Meno Stato più privato. Senza gridarlo forte, la manovra finanziaria fa proprio questo. Lo ha spiegato bene l'ex ministro ed ex segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, quando ha parlato di una progressiva penalizzazione del welfare attraverso la disarticolazione del sistema fiscale che il governo Meloni e la sua maggioranza stanno applicando da quando si sono insediati. L'universalismo fiscale è costantemente attaccato «a suon di misure forfettarie, cedolari secche, pezzi di flat tax». E se aggiungiamo concordati e condoni va da sé che la prima plateale conseguenza non può che essere il taglio ai servizi pubblici e quello ai trasferimenti degli enti locali.
Più povertà educativa. Una delle misure più odiose è poi la cancellazione del fondo per combattere la povertà educativa e arginare così la conseguente povertà economica. Creato nel 2016 e sempre confermato, il fondo, finanziato da fondazioni bancarie che potevano avvalersi del credito d'imposta, in questi anni ha coinvolto oltre diecimila realtà associative che hanno dato sostegno a mezzo milione di bambine e bambini in situazioni di disagio.
Punito il terzo settore. Ma questo non è il solo intervento contro il welfare solidale. Il terzo settore, che svolge un ruolo fondamentale nel con-trasto al disagio economico e sociale del paese, viene penalizzato con la previsione di un tetto alla raccolta del 5 per mille. In pratica si pone un limite alla spontanea devoluzione dei contribuenti, cosa che non si fa invece con l’8 per mille alla chiesa cattolica e alle altre confessioni. Ancora: con la stretta alle detrazioni per i redditi più alti si scoraggiano le donazioni.
Meno Stato più privato. Senza gridarlo forte, la manovra finanziaria fa proprio questo. Lo ha spiegato bene l'ex ministro ed ex segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, quando ha parlato di una progressiva penalizzazione del welfare attraverso la disarticolazione del sistema fiscale che il governo Meloni e la sua maggioranza stanno applicando da quando si sono insediati. L'universalismo fiscale è costantemente attaccato «a suon di misure forfettarie, cedolari secche, pezzi di flat tax». E se aggiungiamo concordati e condoni va da sé che la prima plateale conseguenza non può che essere il taglio ai servizi pubblici e quello ai trasferimenti degli enti locali.
Più povertà educativa. Una delle misure più odiose è poi la cancellazione del fondo per combattere la povertà educativa e arginare così la conseguente povertà economica. Creato nel 2016 e sempre confermato, il fondo, finanziato da fondazioni bancarie che potevano avvalersi del credito d'imposta, in questi anni ha coinvolto oltre diecimila realtà associative che hanno dato sostegno a mezzo milione di bambine e bambini in situazioni di disagio.
Punito il terzo settore. Ma questo non è il solo intervento contro il welfare solidale. Il terzo settore, che svolge un ruolo fondamentale nel con-trasto al disagio economico e sociale del paese, viene penalizzato con la previsione di un tetto alla raccolta del 5 per mille. In pratica si pone un limite alla spontanea devoluzione dei contribuenti, cosa che non si fa invece con l’8 per mille alla chiesa cattolica e alle altre confessioni. Ancora: con la stretta alle detrazioni per i redditi più alti si scoraggiano le donazioni.
Comuni taglieggiati. Il presidente dell'Associazione dei comuni italiani, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, lamenta una stretta per quattro miliardi e mezzo tra il blocco della spesa corrente (un miliardo e 350 milioni) e un taglio agli investimenti per tre miliardi e duecento milioni: «Le città rischiano la paralisi dei servizi ha commentato. E quelle del Sud rischiano ancora di più. In nome del ponte sullo Stretto, infatti, si sottraggono risorse per l'ammontare di un miliardo e mezzo al fondo per lo sviluppo e la coesione nato con l'intento di ridurre il divario tra i territori del paese e soprattutto rilanciare il Mezzogiorno.
Norme razziste. Meno servizi e più ingiustizia, dunque, e anche più razzismo. Due norme inserite in manovra la dicono lunga sulla natura della destra al governo. I lavoratori migranti regolarmente assunti non potranno più beneficiare delle detrazioni per i figli a carico: lavoratori che creano ricchezza e pagano le tasse in Italia, ma considerati di serie B. Inoltre, chi richiede la cittadinanza dovrà pagare una nuova tassa di seicento euro.
Le imprese non ridono. Anche dal punto di vista delle imprese si fa fatica a trovare misure che abbiano un impatto positivo. L'Ires premiale sarà ridotta di quattro punti per chi accantona almeno 1'80 per cento degli utili del 2024 e ne reinveste in azienda almeno il 30 per cento (e non meno del 24 per cento com'era in precedenza), ma di tale riduzione beneficeranno soltanto le imprese che non scontano difficoltà: in pratica, quindi, a essere premiate con minori imposte saranno soltanto le imprese che hanno aumentato i loro profitti.
Ed ecco allora che si torna alla de-strutturazione del fisco per giustificare il piano di distruzione del welfare. Un piano, quello di Giorgia Meloni e dei suoi alleati, divenuto ormai lampante in questa manovra, ma che tradotto vuol dire: tre anni di tradimenti delle promesse elettorali