In Italia non si fanno più figli e la popolazione invecchia.
Siamo il primo paese al mondo dove gli under 15 sono meno degli over 65. In molti settori l'economia
è tenuta in piedi dai lavoratori immigrati che però non vedono riconosciuti i loro diritti.
Anche se qui vivono, lavorano e pagano le tasse da anni.
A trentadue anni zia Santapace si trovava già con sei figli sulle spalle e uno che stava nascendo... Però era felice, per niente affranta, e a ogni fitta in grembo diceva: "Dio at ringrassio"». Altri tempi quelli descritti da Antonio Pennacchi nel libro Canale Mussolini. la saga di una famiglia veneta, immigrata nell'agro pontino all'inizio degli anni Trenta del Novecento. Per avere il podere le famiglie coloniche dovevano essere numerose. Lo imponeva il fascismo che voleva più soldati da mandare in guerra e più braccia per l'agricoltura. Oggi non è più così. Nella piana di Fondi, a pochi chilometri dall'agro di mussoliniana memoria, accade che le prime classi elementari abbiano più bambini indiani che italiani. Lì, come altrove, senza immigrati si fermerebbe l'agricoltura: frutta e ortaggi non arriverebbero più sulle nostre tavole. C'è più di qualcuno che storce il naso. Ma chi manderebbe il proprio figlio a raccogliere i pomodori per cinque euro l'ora? Dell'italianità dei figli al capitalismo non frega proprio niente. Ha bisogno di braccia a basso costo e fa venire gli indiani.
Pochi giovani, tanti vecchi. Ecco perché le famiglie non sono più come quella della zia di Pennacchi. Il 63 per cento è composto da appena due persone. Quelle con più di sei componenti sono 1'1 per cento. E al primo posto come famiglia tipo, si colloca quella monopersonale, quasi nove milioni di individui, ancora più delle coppie con figli, che non arrivano al 30 per cento. Il problema di questo cambiamento epocale è che non si fanno più figli. Quest'anno arriviamo appena a 374 mila nuovi nati (minimo storico). E così il nostro paese è diventato il primo al mondo in cui gli under 15 sono meno degli over 65. Cosa succede a un paese con pochi giovani e tanti vecchi? In Giappone, dove hanno lo stesso problema, il premier ha dato questa risposta: «Decrescere come popolazione giovanile significa che i bambini che nascono oggi vivranno in una società che perderà la propria capacità di funzionare. Se non s'interviene, il sistema di sicurezza sociale crolla e la forza economica e industriale diminuisce». Insomma, calano il Pil, l'occupazione, i redditi delle famiglie, e vengono meno le risorse per pagare le pensioni, la sanità, l'istruzione. Un vero guaio.
Un aiuto piccolo piccolo. L'attuale governo fa poco per invertire il declino. Sta cercando un po' di miliardi per dare qualche bonus fiscale alle famiglie con più figli. È una misura che può incidere per fermare la crisi? L'opinione degli esperti è scettica. Chiamare politiche a sostegno della natalità l'elargizione di qualche bonus - avverte la sociologa Chiara Saraceno – è poco più di uno slogan». È un aiutino per le famiglie con figli, ma non induce una coppia a decidere di farli. Mario Draghi, ad esempio, varò l'assegno unico per aumentare il contributo alle famiglie. Risulta che quei soldi abbiano indotto le donne italiane a fare un figlio? Del resto, perché dovrebbero bastare pochi spiccioli quando la donna resta sempre sola a pagare il prezzo della maternità? Come fa a progettare un percorso da mamma se ha un lavoro precario? La risposta l'ha data il rapporto annuale dell'Inps: quando le lavoratrici hanno un figlio subiscono una penalizzazione che non recuperano più nella vita. E si ritrovano pensioni e retribuzioni più basse.
Questione complessa. Insomma, quello che cerchiamo di dire è che le politiche a sostegno della natalità costituiscono un insieme complesso che investe molte sfere: il lavoro, il reddito, la parità di genere, la stabilità del lavoro, i diritti, l'accesso all'abitazione, la disponibilità di servizi, di asili e di scuole, un sistema sanitario di prossimità. Tutte cose che non sono nell'agenda dell'attuale governo. Torniamo allora nella piana di Fondi che ha una posizione geo-economica importante con il mercato ortofrutticolo più importante d'Italia. La sua economia è tenuta in piedi dagli stranieri ai quali vengono affidati i lavori più faticosi nei campi. È una realtà dura, con imprenditori senza scrupoli e infiltrazioni camorristiche. Ma nella scuola vediamo nascere qualcosa di nuovo. I bambini all'uscita sono qualcosa di fantastico da vedere, con quei vestiti colorati che si mischiano ai jeans e alle magliette più fantasiose. Tra loro non ci sono diffidenze etniche, giocano insieme, studiano nello stesso banco. Il ministro Lollobrigida e buona parte dell'opinione pubblica manipolata dai giornali della destra pensano che a Fondi sia in atto una sostituzione etnica. Il governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, ha detto invece che l'immigrazione è un bene per il paese, serve a evitare il collasso dell'economia e la crisi del debito pubblico.
La via è questa. Pensate che l'Italia sarebbe stata più ricca senza i cinque milioni di immigrati che oggi vivono nelle nostre città e lavorano nelle nostre campagne? Pensare che saremmo stati meglio è una falsa idea. È un'ideologia diffusa ad arte da politici che cercano voti fomentando la gente contro gli immigrati. L'integrazione non è facile, ma va perseguita con coraggio. Come fecero i cittadini di Bari quando arrivò la nave Vlora con più di ventimila albanesi provenienti da Durazzo. Non li riportarono al largo come fece Salvini con la Open Arms, ma li accolsero e diedero loro una possibilità di rifarsi una vita. Oggi quegli albanesi sono integrati e i baresi fanno affari con l'Albania. Tutti più ricchi, dunque. Un'altra lezione straordinaria di integrazione la diedero gli operai comunisti della Fiat di Torino che accolsero nelle sezioni i meridionali appena arrivati. Trovarono loro un alloggio, li aiutarono a iscrivere i figli a scuola e li invitarono alle feste dell'Unità. Quegli operai avevano imparato nella Resistenza e nelle lotte di fabbrica la solidarietà di classe e sapevano che i diritti delle persone sono sacri, anche se parlavano un dialetto che non capivano.
Una lezione semplice. La lezione che hanno dato i baresi e gli operai torinesi è semplice: non si può vivere in un paese a diritti differenziati. Non si può lavorare fianco a fianco quando si hanno diritti differenziati tra chi ha la cittadinanza e chi no. Non si studia bene quando il tuo compagno di banco non può venire in gita scolastica perché non ha i documenti a posto. Oggi gli operai della Fiat sarebbero i primi a battersi contro l'attuale legge sulla cittadinanza che impedisce ai figli di immigrati, nati, "studiati" e "lavorati" in Italia, di avere la cittadinanza. Se aspettiamo che sia Giorgia Meloni a riparare un torto di queste proporzioni, sbagliamo di grosso. Anche se non ci sono più le sezioni del Pci, possiamo fare quello che facevano loro usando i nuovi strumenti della politica. L'occasione è l'iniziativa referendaria per ridurre l'obbligo di residenza da dieci a cinque anni. Se il quesito referendario vincerà, faremo nascere in un solo giorno due milioni e mezzo di giovani italiani. Tanti nuovi figli per una nuova Italia, più giusta e forte. Sarebbe una vera primavera demografica.